IL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA Sezione giurisdizionale Ha pronunciato la presente sentenza non definitiva sul ricorso numero di registro generale 1163 del 2021, proposto dall'Assessorato regionale dei beni culturali e dell'identita' siciliana - Dipartimento regionale beni culturali e identita' siciliana, (Soprintendenza per i beni culturali e ambientali di Agrigento), in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato presso la cui sede distrettuale sono domiciliati ex lege in Palermo, via Valerio Villareale, n. 6; Contro Ettore Daniele Fortunato Arrigo, Annunziata Rizzo, rappresentati e difesi dagli avvocati Gaetano Caponnetto, Vincenzo Caponnetto, con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia; Per la riforma della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia (Sezione prima) n. 01739/2021; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori Ettore Daniele Fortunato Arrigo e di Annunziata Rizzo; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 febbraio 2022 il cons. Maria Immordino; Nessuno e' presente per le parti; Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. Fatto l. E' stata appellata dall'Assessorato dei beni culturali e dell'identita' siciliana (Soprintendenza BB.CC.AA. di Agrigento) la sentenza indicata in epigrafe. 2. E' opportuna, in via preliminare, una breve esposizione dei fatti sottesi alla controversia de qua. 3. Gli odierni appellati adivano il Tribunale amministrativo regionale per chiedere l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia: del d.d.s. n. 1533 del 22 maggio 2020, e relativa nota di trasmissione, emesso ai sensi dell'art. 167 del decreto legislativo 42/2004, con cui veniva loro ingiunto il pagamento della somma di euro 5.762,48, quale indennita' risarcitoria per il danno causato al paesaggio per la realizzazione di un appartamento posto alla seconda elevazione e facente parte di un maggiore edificio composto da due piani f.t., sito nel Comune di Agrigento nella via della Ruta n. 5 e censito al N.C.E.U. al fg. n. 163 part. 1270, sub. 3; della nota prot. n. 1159 del 29 gennaio 2015 della Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Agrigento nella parte in cui prevede la riscossione della sanzione paesaggistica ai sensi dell'art. 167 del decreto legislativo n. 42/2004; della nota prot. n. 168/6 dell'8 gennaio 2018 della Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Agrigento nonche' dell'allegata perizia tecnica estimativa del danno al paesaggio. 4. Gli odierni appellati deducevano le seguenti censure: a) intrasmissibilita' della sanzione; b) sopravvenienza del vincolo paesaggistico. 5. Con la sentenza impugnata il Tribunale amministrativo regionale ha respinto la censura relativa all'intrasmissibilita' della sanzione, ed ha accolto il ricorso ritenendo fondata ed assorbente, la censura (di cui al punto a) incentrata sulla sopravvenienza del vincolo paesaggistico rispetto alla commissione dell'abuso argomentando sulla base del canone di irretroattivita' desumibile dall' art. 1, legge n. 689/1981 e dal comma 3 dell'art. 5 della legge regionale n. 17/1994. 6. Con ricorso n. 1163 del 2021 l'amministrazione regionale, gia' resistente e rimasta soccombente nel giudizio di prime cure, ha depositato l'atto di appello (tempestivamente passato per notifica) proponendo una articolata critica alla sentenza in epigrafe e chiedendone la riforma, in quanto avrebbe disatteso la tesi secondo cui alla data di commissione dell'abuso edilizio per cui e' causa l'area sarebbe stata (gia') interessata da un vincolo paesaggistico (e non soltanto archeologico) che avrebbe, quindi sin dal 1971 preceduto il vincolo introdotto dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, e chiedendo che questo CGARS sollevi questione di legittimita' costituzionale, negli stessi termini di cui alla sentenza non definitiva parziale e ordinanza di rimessione in Corte costituzionale n. 532 del 14 giugno 2021 (trattandosi di causa che presenta identita' di situazione fattuale rispetto a quella di cui al procedimento iscritto al r.g.n. n. 99/2020 ove e' stata emessa la predetta sentenza parziale n. 532 del 14 giugno 2021). 7. Nel giudizio di appello si sono costituite le parti appellate con memoria di stile del 27 gennaio 2022. 8. All'udienza del 24 febbraio 2022 la causa e' stata trattenuta in decisione. Diritto l. Il Collegio ritiene in via preliminare di illustrare l'ordine espositivo con il quale verranno affrontate le questioni sottoposte al suo scrutinio nel presente giudizio, anche in relazione alla decisione di rimettere alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 3 della legge regionale siciliana n. 17/1994. 2. Si premette che: il presente giudizio e' uno dei tanti ancora pendenti innanzi a questo Consiglio di giustizia amministrativa ed aventi ad oggetto immobili edificati abusivamente nell'area della Valle dei Templi in Agrigento nella medesima area (con riferimento a due di tali fascicoli, come meglio si chiarira' nel prosieguo della esposizione, questo CGARS ha disposto con sentenza parziale ed ordinanza collegiale la rimessione delle cause alla Corte costituzionale: per numerosi altri, finora, e' stata disposta la c.d. «sospensione impropria»); non puo' essere messa in discussione l'assoluta peculiarita' della Valle dei Templi di Agrigento, espressione di una compenetrazione fra profili archeologici, artistici, storici e dell'ambiente circostante che attribuisce al sito il carattere dell'unicita': nel dicembre del 1997, nel corso della 21ª riunione annuale del Comitato del patrimonio mondiale dell'Unesco, tenutasi a Napoli (1-6 dicembre 1997), e' stata iscritta nella Lista del patrimonio mondiale dell'umanita' con la denominazione «Area archeologica di Agrigento» (il documento ICOMOS n. 831 descrive il sito e i principali monumenti in esso contenuti). 3. Si premette altresi' che nell'ambito del procedimento iscritto al r.g.n. n. 99/2020 chiamato in decisione nella pubblica udienza del 5 maggio 2021: a) questo CGARS, con ordinanza collegiale 23 ottobre 2020, n. 976, ha disposto una verificazione al fine di chiarire l'esatta collocazione dell'immobile per cui era lite rispetto alla perimetrazione della «zona B» di cui ai decreti ministeriali 12 giugno 1957, 16 maggio 1968 e 7 ottobre 1971 ed al successivo decreto del Presidente della Regione Siciliana n. 91 del 1991, nonche' al precedente decreto Presidenziale 6 agosto 1966, n. 807, e in data 15 novembre 2020 il verificatore ha depositato la relazione di verificazione; b) l'immobile per cui e' causa e' ubicato in area corrispondente a quella oggetto della relazione di verificazione resa nell'ambito del procedimento iscritto al r.g.n. n. 99/2020; c) nell'ambito del procedimento iscritto al r.g.n. n. 99/2020 il Collegio ha reso la sentenza non definitiva parziale e ordinanza di rimessione in Corte costituzionale n. 532 del 14 giugno 2021 (ed in pari data, nell'ambito di procedimento iscritto al r.g.n. n. 250/2019 il Collegio ha reso la sentenza non definitiva parziale e ordinanza di rimessione in Corte costituzionale n. 533 del 14 giugno 2021); d) alle argomentazioni sviluppate nel provvedimento r.g.n. n. 99/2020 sopra citato si fara' ampio riferimento in seno al presente provvedimento. 4. Cio' posto, si procede alla disamina delle questioni oggetto di scrutinio nel seguente ordine: a) in primis si rileva che le parti appellate, costituite nel presente grado di giudizio, con una sintetica memoria con la quale si contestano i motivi dell'appello, non hanno appellato incidentalmente il motivo di censura di primo grado respinto, relativo alla intrasmissibilita' della sanzione, sicche' sulla questione si e' formato il giudicato interno; parimenti, nessun motivo assorbito e' stato riproposto ex art. 101 c.p.a.; b) al fine di perimetrare gli argomenti effettivamente rilevanti - si esamina il primo (ed infondato, ad avviso del Collegio) motivo dell'appello della difesa erariale; c) successivamente si espone il convincimento del Collegio, in punto di fatto, sul regime vincolistico dell'area in cui insiste l'immobile per cui e' causa (con reiezione della tesi della difesa erariale secondo cui al tempo dell'abuso sarebbe stato gia' presente un vincolo paesaggistico o che, comunque, il vincolo archeologico fosse «equipollente» a quello paesaggistico); d) immediatamente di seguito, sono rappresentate le conseguenze che cio' comporta con riguardo all'odierno processo, qualificando la natura giuridica della fattispecie ex art. 167, decreto legislativo n. 42/2004; e) sono quindi esposte le ragioni per cui si ritiene inapplicabile alla fattispecie il disposto di cui all'art. 1, legge n. 689/1981; f) infine, riassunte le ragioni della rilevanza della questione, viene esaminato il tema della non manifesta infondatezza della questione concernente la compatibilita' costituzionale dell'art. 5, comma 3 della legge regionale siciliana n. 17/1994, considerato anche l'inquadramento giuridico di cui al punto c). 5. In ossequio alla condivisibile ricostruzione di cui a Cassazione civ., ss. uu. 11 dicembre 2007, n. 25837 (secondo cui avrebbero sempre carattere decisorio, e devono essere immediatamente impugnati ovvero essere oggetto di riserva di impugnazione, i capi della ordinanza di rimessione che decidono nei sensi di cui all'art. 279, comma 1, n. 4 c.p.c.) ed in linea con le prescrizioni di cui all'art. 36, comma 2 c.p.a., a miglior garanzia delle parti del processo, si provvedera' a decidere le questioni di cui alle lettere b) e c) del superiore elenco con sentenza non definitiva, che tuttavia, al fine di consentire la unicita' di esame alla Corte costituzionale, non verra' resa separatamente, ma unitamente alla ordinanza collegale di rimessione. 6. Come brevemente chiarito nella parte «in fatto» della presente decisione, il primo giudice ha accolto il ricorso di primo grado (anche richiamando per relationem alcuni precedenti giurisprudenziali), sulla scorta di un triplice argomentare fattuale e giuridico: a) l'insussistenza di alcun vincolo paesaggistico sull'area ove venne edificato l'immobile, al momento in cui l'abuso venne commesso (fino al sopravvenire della legge n. 431/1985, c.d. legge Galasso); b) la sussistenza, sull'area predetta, di un vincolo archeologico al momento in cui l'abuso venne commesso; c) la non assimilabilita' del vincolo archeologico sussistente sull'area ove venne edificato l'immobile ad un vincolo paesaggistico, ai fini dell'applicabilita' dell'art. 167 del decreto legislativo n. 42/2004. Di conseguenza, il Tribunale amministrativo regionale ha accolto la censura incentrata sulla sopravvenienza del vincolo paesaggistico rispetto alla commissione dell'abuso, qualificando l'indennita' qui controversa come sanzione amministrativa, ed argomentando quindi sulla base del canone di irretroattivita' desumibile dall'art. 1 della legge n. 689/1981 e dal comma 3 dell'art. 5 della legge regionale n. 17/1994. 7. Quanto ai primi tre profili dell'iter motivazionale seguito dal Tribunale amministrativo regionale (precedenti punti b e c) il Collegio ne condivide l'approdo e ritiene, di converso, che le difese articolate dalla difesa erariale in primo grado non meritino condivisione. 7.1. Come emerge dalla verificazione effettuata nell'ambito del procedimento r.g. n. 99/2020, cui si e' prima fatto riferimento, e come peraltro si dara' conto brevemente alla luce dell'analisi dei testi normativi susseguitesi, ritiene il Collegio che - per quanto paradossale ci possa sembrare tenuto conto delle peculiari caratteristiche e dell'evidente pregio dell'area geografica in esame - sino al 1985 sull'area dove venne perpetrato l'abuso non insisteva alcun vincolo paesaggistico, e che non possa neppure seguirsi la difesa erariale (primo motivo dell'appello principale) laddove questa sostiene che il vincolo archeologico sussistente potesse «parificarsi» ad un vincolo paesaggistico (o, per dirla altrimenti ricomprendesse profili paesaggistici). 7.2. Cio' rilevato, il Collegio ritiene a questo punto di doversi addentrare, ai fini della trattazione del primo motivo dell'appello principale e della rimessione alla Corte costituzionale, nell'inquadramento giuridico dei van aspetti che contraddistinguono l'applicazione dell'istituto di cui all'art. 167, comma 5 del decreto legislativo n. 42/2004 e dell'art. 5, comma 3, legge regionale n. 17/1994 al caso di specie. 7.3. Detta conclusione si spiega in ragione dell'evoluzione normativa intervenuta in materia e delle circostanze di fatto che sono di seguito illustrate. 7.4. Quanto alle circostanze di fatto, va premesso che gli appellati hanno dichiarato che il fabbricato - dallo stesso acquistato nel 1982 - e' stato realizzato ed ultimato entro l'anno 1975 dal proprio dante causa (e tale affermazione e' rimasta incontestata) e che esso ricade all'interno della zona perimetrata quale «Zona B» (anche tale affermazione e' rimasta incontestata dalla difesa erariale); ne discende pertanto che le emergenze fattuali e giuridiche di cui alla verificazione effettuata nell'ambito del processo r.g.n. 99/2020 sono perfettamente traslabili alla presente fattispecie. 7.5. Cio' posto, l'evoluzione normativa puo' essere cosi' riassunta: a seguito delle attivita' della Commissione provinciale per la tutela delle bellezze naturali della Provincia di Agrigento, il Ministro della pubblica istruzione, con decreto 12 giugno 1957 «Dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona della Valle dei Templi e dei punti di vista della citta' sulla Valle stessa, siti nell'ambito del Comune di Agrigento», sottopose a tutela paesistica un'ampia zona del territorio comunale; a seguito della «frana di Agrigento» venne approvato il decreto-legge 30 luglio 1966, n. 590, «Dichiarazione di zona archeologica di interesse nazionale della Valle dei Templi di Agrigento», convertito in legge 28 settembre 1966, n. 749; a distanza di sola una settimana il Presidente della Regione Siciliana intervenne nella questione emanando il decreto presidenziale 6 agosto 1966, n. 807, «Dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona della Valle dei Templi e dei punti di vista del belvedere del Comune di Agrigento», che sottopose una piu' ampia zona del territorio comunale a vincolo paesistico; in esecuzione legge 28 settembre 1966, n. 749, di conversione del decreto-legge 30 luglio 1966, n. 590, venne emanato dal Ministero della pubblica istruzione di concerto con il Ministero per i lavori pubblici, il decreto 16 maggio 1968, «Determinazione del perimetro della Valle dei Templi di Agrigento, delle prescrizioni d'uso e dei vincoli di in edificabilita'» (c.d. Gui-Mancini) - poi modificato dal decreto 7 ottobre 1971 «Modifiche del decreto ministeriale 16 maggio 1968, concernente la determinazione del perimetro della Valle dei Templi di Agrigento, prescrizioni d'uso e vincoli di in edificabilita'» (c.d. Misasi-Lauricella) -, che vincolo' delimito' la Valle dei Templi, definendo e suddividendo l'area vincolata in cinque zone, dalla A alla E, aventi ciascuna specifica prescrizione, oltre ad avere introdotto (la Misasi-Lauricella) il nulla osta della Soprintendenza ai BB.CC.AA. per la realizzazione di infrastrutture urbanistiche; in data 17 agosto 1985 venne pubblicata nella G.U.R.S. la legge 10 agosto 1985, n. 37, «Nuove norme in materia di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia, riordino urbanistico e sanatoria delle opere abusive», il cui art. 25, «Parco archeologico di Agrigento», prevedeva al comma 1, che «Entro il 31 ottobre 1985, il Presidente della regione, di concerto con gli assessori regionali per i beni culturali e per il territorio e l' ambiente, sentiti i pareri del Sovrintendente ai beni culturali di Agrigento e del Consiglio regionale per i beni culturali ed ambientali, provvede ad emanare il decreto di delimitazione dei confini del Parco archeologico della Valle dei Templi di Agrigento ed all'individuazione dei confini delle zone da assoggettare a differenziati vincoli, previo parere della competente Commissione legislativa dell'Assemblea regionale siciliana»: la delimitazione dei confini del Parco archeologico venne stabilita con il decreto del Presidente della Regione Siciliana 13 giugno 1991, n. 91, «Delimitazione dei confini del Parco Archeologico della Valle dei Templi di Agrigento» (c.d. Nicolosi), che fece coincidere il confine del Parco archeologico di Agrigento con il confine della zona A - delimitata con l'art. 2 del decreto ministeriale 16 maggio 1968 (c.d. Gui-Mancini) e poi modificato con decreto ministeriale 7 ottobre 1971 (c.d. Misasi-Lauricella) - e che amplio' anche la zona «B», includendo Cozzo S. Biagio, Contrada Chimento ed una zona a nord della Contrada Mose'. 7.6. Quindi, in disparte il vincolo paesaggistico di cui alla legge Galasso ed al successivo decreto legislativo n. 42/2004, in base alla normativa vigente al tempo della costruzione (1973/76), il manufatto oggetto di controversia era sottoposto a vincolo archeologico in base al decreto 16 maggio 1968 e al decreto 7 ottobre 1971, cosi' come per il successivo decreto del Presidente della Regione Siciliana 13 giugno 1991, n. 91. Di converso deve considerarsi accertato che l'area non era soggetta a vincolo paesaggistico all'epoca della costruzione, in quanto ne' il decreto del 1968 ne' il decreto 7 ottobre 1971 lo imponevano. 12.6. Il vincolo paesaggistico e' quindi sopravvenuto rispetto alla realizzazione del manufatto per cui e' lite. Cosi' disattesa la tesi originaria di primo grado della difesa erariale secondo cui nell'area insisteva un vincolo paesaggistico al tempo della commissione dell'abuso, il Collegio deve farsi carico dell'ulteriore prospettazione critica originaria secondo cui il vincolo archeologico imposto sull'area avesse una portata effettuale identica ad un vincolo paesaggistico, e/o ricomprendesse quest'ultimo. Come avvertito nella premessa, anche tale profilo critico non e' persuasivo. Osta, all'accoglimento di tale prospettazione: a) la diversa natura dei due vincoli presi in considerazione; b) il dato letterale: decreto ministeriale 16 maggio 1968; c) in termini assorbenti, il chiaro dettato della sentenza della Corte costituzionale 11 aprile 169, n. 74. Nel periodo storico che ha preceduto e accompagnato la realizzazione dell'immobile abusivo (fra il 1968, anno dell'entrata in vigore del decreto ministeriale 16 maggio 1968, e l'anno 1973, di completamento dell'immobile abusivo) l'efficacia del vincolo paesaggistico su bellezze di insieme, nei confronti dei proprietari, possessori o detentori, ha inizio dal momento in cui, ai sensi dell'art. 2, ultimo comma, della legge n. 1497/1939, l'elenco delle localita', predisposto dalla Commissione ivi prevista e nel quale e' compresa la bellezza di insieme, viene pubblicato nell'albo dei comuni interessati (Corte costituzionale, 23 luglio 1997, n. 262). Il vincolo e' apposto attraverso un procedimento tipico, che si conclude con un provvedimento finale costitutivo di obblighi (art. 7, legge n. 1497/1939) a carico dei soggetti «proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi titolo, dell'immobile il quale sia stato compreso nei pubblicati elenchi delle localita'» ed e' destinato a venire meno quando l'autorita' preposta alla approvazione definitiva rifiuti l'approvazione (anche parzialmente eliminando l'efficacia rispetto a taluni immobili) ovvero intervenga una successiva modifica dell'elenco suddetto. La Consulta ha sottolineato (per differenza con il sistema introdotto dalla legge n. 431/1985, ora contenuto nel decreto legislativo n. 42/2004) che la legge n. 1497/1939 prevede una tutela diretta alla preservazione di cose e localita' di particolare pregio estetico isolatamente considerate. L'art. 2-bis del decreto-legge 30 luglio 1966, n. 590, convertito, con modificazioni, nella legge 28 settembre 1966, n. 749, che ha dichiarato la Valle dei Templi di Agrigento zona archeologica di interesse nazionale, e il successivo decreto ministeriale 16 maggio 1968 non solo fanno esplicito riferimento al vincolo archeologico ma non incanalano detta qualificazione nell'alveo indicato dalla legge n. 1497/1939, cosi' apponendo un vincolo avente una natura corrispondente a quella dichiarata, appunto archeologica (e non paesaggistica). Del resto la Corte costituzionale ha affermato che «l'art. 2-bis ha disposto un vincolo su la zona dei Templi (rimettendo all'autorita' amministrativa la determinazione del perimetro di essa) in conseguenza di un fatto di eccezionale gravita', qual era stato il movimento franoso del 1966, ed in considerazione del preminente carattere archeologico della zona e dell'interesse generale a impedire ulteriori effetti dannosi di quell'evento» (Corte costituzionale, 11 aprile 1979, n. 64). Il decreto ministeriale 7 ottobre 1971, successivo a Corte costituzionale n. 74/1969, recante la nuova perimetrazione del sito, non solo non scalfisce la tesi della natura non paesaggistica del vincolo originariamente apposto alla Valle dei Templi, ma ne avalla l'impostazione, laddove, nelle premesse, ravvisa la finalita' dell'intervento normativo nella volonta' di consentire «le ricerche archeologiche e le opere di restauro, sistemazione e valorizzazione della zona archeologica e dei suoi monumenti, nonche' le opere necessarie alla custodia dei reperti antichi». 7.8. Deve quindi concludersi che il vincolo archeologico imposto sull'area non avesse una portata effettuale identica al vincolo paesaggistico e/o non ricomprendesse quest'ultimo, non ricadendo l'immobile nel perimetro del vincolo paesistico. 8. La superiore ricostruzione, quindi, e' conforme a quella del Tar, in punto di determinazione dell'assetto vincolistico dell'area o ve e' stato perpetrato l'abuso e al tempo dello stesso (sul punto anche Cassazione penale, III, 4 settembre 2014, n. 36853). 8.1. Il Tribunale amministrativo regionale ha da cio' fatto discendere le conseguenze demolitorie censurate dalla difesa erariale, ritenendo che la sanzione ex art. 167, decreto legislativo n. 42/2004 vada ascritta nel novero delle sanzioni amministrative e che il canone della irretroattivita' desumibile dall'art. 1, legge n. 689/1981 e dal comma 3 dell'art. 5 della legge regionale n. 17/1994 impedisca di ritenere legittimo il provvedimento impugnato. 8.2. Tale questione richiede una attenta, seppur sintetica, analisi, per la quale e' necessario inquadrare il provvedimento impugnato e l'indennita' che ne costituisce l'oggetto (analisi, questa, gia' svolta n eli' ambito della sentenza non definitiva parziale e ordinanza di rimessione in Corte costituzionale n. 532 del 14 giugno 2021 e della sentenza non definitiva parziale e ordinanza di rimessione in Corte costituzionale n. 533 del 14 giugno 2021, con le considerazioni che di seguito si ritrascrivono ). Come e' noto, per lungo tempo [a giurisprudenza ha qualificato l'indennita' di cui all'art. 15, legge n. 1497/1939 (trasfusa poi nell'art. 164, decreto legislativo n. 490/1999, ed oggi nell'art. 167 d. lgs. n. 42/2004) come sanzione amministrativa (Cons. St.: V, 24 aprile 1980, n. 441; 24 novembre 1981, numeri 700 e 702; VI, 29 marzo 1983, n. 162; VI, 4 ottobre 1983, n. 701; VI, 5 agosto 1985, n. 431; VI, 16 maggio 1990, n. 242, VI, 31 maggio 1990, n. 551; VI, 15 aprile 1993, n. 290; VI, 2 giugno 2000, n. 3184; VI, 9 ottobre 2000 n. 5386; IV, 12 novembre 2000, n. 6279; IV, 2 marzo 2011, n. 1359; V, 26 settembre 2013, n. 4783; VI, 8 gennaio 2020, n. 130; II, 25 luglio 2020, n. 4755; CARO: sez. cons. 16 novembre 1993, n. 452; sez. giur. 13 marzo 2014, n. 123; 17 febbraio 2017, n. 58; 23 marzo 2018, n. 168; 17 maggio 2018, n. 293; 22 agosto 2018, n. 484; 29 novembre 2018, n. 958; 25 marzo 2019, n. 251, 20 marzo 2020, n. 198; 1° luglio 2020, n. 505; 3 luglio 2020, n. 527; Cassazione: sez. un. 18 maggio 1995, n. 5473; 10 agosto 1996, n. 7403; 4 aprile 2000, n. 94; 10 marzo 2004, n. 4857; 10 marzo 2005, n. 5214), specificando in alcune occasioni che l'assenza di danno sostanziale al paesaggio non esonera dalla sanzione, essendovi comunque sempre un danno formale per aver edificato senza nullaosta paesaggistico (Con s. St., V, 1° ottobre 1999, n. 1225; VI, 2 giugno 2000, n. 3184; VI, 9 ottobre 2000, n. 5386; 31 ottobre 2000, n. 5828; IV, 27 ottobre 2003 n. 6632; IV, 12 marzo 2011, n. 1359; V, 26 settembre 2013, n. 4783; VI, 8 gennaio 2020, n. 130; II, 27 maggio 2020, n. 4755). Nondimeno, nell'ambito degli arresti richiamati, alla qualificazione dell'indennita' in discorso quale sanzione amministrativa pecuniaria non e' seguita l'integrale applicazione della disciplina sistematica di cui alla legge n. 689/1981 (seppur nei «limiti di compatibilita'» scolpiti sub art. 12) rinvenendosi almeno tre punti di frizione: l'irretroattivita', il regime della prescrizione e l'intrasmissibilita' agli eredi ed aventi causa. La sentenza oggi appellata, come gia' rilevato nella parte «in fatto», si sofferma sulla questione della asserita intrasmissibilita' della sanzione e su quella della sopravvenienza del vincolo (come del pari quella impugnata nell'ambito del ricorso r.g.n. 99/2020, parimenti definito con la sentenza non definitiva parziale ed ordinanza di rimessione in Corte costituzionale n. 532 del 14 giugno 2021). Il Collegio, deve segnalare quella che e' - a suo avviso - un'incoerenza sistematica notevole nella giurisprudenza «tradizionale», che ritiene che la fattispecie ex art. 167, decreto legislativo n. 42/2004 vada ascritta al novero delle sanzioni amministrative e che alla stessa si applichi l'impianto di cui alla legge 689/1981. Giova precisare, in proposito, che assai sovente la giurisprudenza ha: a) sostenuto tout court l'applicabilita' legge n. 689/1981 (in quanto si qualifica il provvedimento impugnato quale sanzione amministrativa) al disposto di cui all' art. 167, decreto legislativo n. 42/2004; b) applicato le disposizioni della predetta legge n. 689/1981, in punto di irretroattivita' (art. 1) e quanto al regime della prescrizione (art. 28); c) ritenuto inapplicabile il regime della citata legge n. 689 in punto di intrasmissibilita' agli eredi (art. 7), nella evidente difficolta' di contrastare approdi pacifici della giurisprudenza amministrativa e penale formatasi sull'ambulatori eta' dell'ordine di demolizione (Cons. St., IV, 12 aprile 2011, n. 2266; IV, 24 dicembre 2008, n. 6554; nonche' Cassazione, III, 15 luglio 2020, n. 26334; III, 22 ottobre 2009, n. 48925) e, - si puo' ipotizzare - nel convincimento che l'affermazione di un simile principio renderebbe il precetto primario facilmente eludibile. 8.3. In punto di inquadramento generale il Collegio ritiene, non solo per la segnalata incoerenza intrinseca (che, semmai, e' soltanto la «spia» di una ricostruzione complessivamente non appagante: si veda peraltro la uniforme giurisprudenza che esclude, sempre e comunque, l'applicazione dell'art. 14, legge n. 689/1981 alla fattispecie in esame: ex aliis CGARS, sez. giurisdizionale, 23 maggio 2018, n. 300) e sulla scorta di un piu' recente e meditato orientamento giurisprudenziale (Cons. St., IV, 31 agosto 2017, n. 4109; Id., II, 30 ottobre 2020, n. 6678), che l'indennita' di cui all'art. 167, comma 5, decreto legislativo n. 42/2004 abbia una funzione riparatoria, essendo funzionale alla cura dell'interesse paesaggistico, e quindi che alla medesima non si applichi la legge n. 689/1981. 8.4. L'art. 167, decreto legislativo n. 42/2004 stabilisce, al comma 1, la regola generale per cui la violazione della disciplina paesaggistica contenuta nel titolo I della parte terza del codice dei beni culturali e del paesaggio determina per il trasgressore l'obbligo di rimessione in pristino a proprie spese. Alla regola generale si sottrae ]a fattispecie di accertamento della compatibilita' paesaggistica disciplinata al successivo comma 4, ai sensi del quale l'autorita' amministrativa competente accerta la compatibilita' paesaggistica nei seguenti casi: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformita' dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) per l'impiego di materiali in difformita' dall'autorizzazione paesaggistica; c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica, n. 380 del 2001. A tal fine, in base al successivo comma 5: il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dai suddetti interventi presenta apposita domanda all'autorita' preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilita' paesaggistica degli interventi medesimi; l'autorita' competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni; qualora venga accertata la compatibilita' paesaggistica, il trasgressore e' tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione (l'importo della sanzione pecuniaria e' determinato previa perizia di stima) mentre in caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria. Il detto comma 5 dell'art. 167 dispone altresi' che «la domanda di accertamento della compatibilita' paesaggistica presentata ai sensi dell'art. 181, comma 1-quater si intende presentata anche ai sensi e per gli effetti di cui al presente comma», che disciplina, fra l'altro, il pagamento della somma dovuta dal trasgressore. Ai sensi dell'art. 181, comma 1-quater, decreto legislativo n. 42/2004 il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi di cui al comma 1-ter (che coincidono con i sopra riferiti interventi di cui all'art. 167 comma 4), presenta apposita domanda all'autorita' preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilita' paesaggistica degli interventi medesimi e l'autorita' competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni (con disposizione analoga a quella contenuta nell'art. 167, comma 5). 8.5. Da quanto sopra discende che: l'istanza presentata dal proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dai suddetti interventi, avvia un procedimento avente due finalita' connesse, essendo volto all'accertamento della compatibilita' paesaggistica degli interventi medesimi e, nel contempo, se il risultato dell'attivita' di verifica e' positivo, alla comminatoria del pagamento della somma di cui al comma 5 del predetto art. 167; la soddisfazione dell'interesse pretensivo del privato (a vedere riconosciuta la conformita' paesaggistica del manufatto abusivo) porta con se', quindi, necessariamente, in funzione di contrappeso, la debenza della somma; l'obbligo di corrispondere la somma sorge con l'adozione dell'atto favorevole ma non e' esigibile fino alla liquidazione dell'ammontare (l'intervallo procedimentale successivo all'accertamento della conformita' ambientane e' funzionale proprio, e solo, come si vedra' infra, alla quantificazione del dovuto); nella prospettiva pubblicistica l'interesse paesaggistico e' perseguito superando, innanzitutto, l'alternativa fra, da un lato, incompatibilita' paesaggistica e riduzione in pristino (comma 1, dell'art. 167, decreto legislativo n. 42/2004) e, dall'altro lato, compatibilita' paesaggistica dell'intervento ai sensi del comma 4 dell'art. 167 e debenza della somma di denaro; al rigetto della domanda consegue quindi la misura ripristinatoria per eccellenza, riposante nella demolizione (Cons. St., VI, 21 dicembre 2020, n. 8171 e 15 aprile 1993, n. 290); diversamente, l'accertamento della compatibilita' paesaggistica determina, in ragione del principio di efficienza dell'intero sistema (l'attuale conformita' paesaggistica rende recessiva la precedente irregolarita'), il superamento della pretesa di assicurare il ripristino dello status quo ante; la cura del relativo interesse impone comunque all'amministrazione di tenere in considerazione l'abuso commesso facendone sopportare il costo (per la collettivita', nei termini che si diranno infra) al privato istante attraverso il pagamento di una somma di denaro, quantificata, nei termini di cui al comma 5, dell'art. 167, decreto legislativo n. 42/2004, previa perizia di stima, e avente anche una finalita' general-preventiva; i provvedimenti di accertamento della compatibilita' paesaggistica e di condanna al pagamento della somma di denaro, nonche' di quantificazione del dovuto, concorrono tutti alla cura del paesaggio e si pongono, fra loro, in una relazione di necessarieta', nel senso che detto interesse pubblico e' adeguatamente amministrato solo in quanto siano adottati tutti; il collegamento pubblicistico fra le determinazioni dell'amministrazione (compatibilita' paesaggistica, condanna al pagamento di una somma di denaro e quantificazione dell'importo) e' reso evidente dalla disposizione che prevede che l'istanza presentata dal privato sia funzionale non solo all'accertamento della compatibilita' paesaggistica ma anche alla quantificazione del pagamento della somma di denaro; l'obbligo di pagare la somma di denaro deriva dalla legge e diviene attuale con l'accertamento positivo della conformita' paesaggistica dell'intervento (che invece, all'accertamento negativo, segue la riduzione in pristino); segnatamente l'an della debenza e' reso certo al momento della verifica (positiva) di conformita' paesaggistica del manufatto; nondimeno, posto che esso non e' ancora liquido, non e' esigibile fino all'avvenuta determinazione del quantum; la quantificazione della somma dovuta e' connotata dalla cura dell'interesse paesaggistico essendo effettuata infatti in base a una stima, nel «maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito»; a quest'ultima ericonducibile una duplice ratio; innanzitutto essa e' funzionale alla cura dell'ambiente; in tal senso il parametro di quantificazione prescelto non e' avulso dalla necessita' di superare la prospetti va ripristinatoria, di per se' rinvenibile nella sola riduzione in pristino, ed e' riconducibile alla necessita' di calmierare l'esternalita' negativa derivante dalla trasgressione paesaggistica, connessa ad un interesse in parte adespota, anche m relazione alla sua connessione con il valore dell'ambiente e delle esigenze di preservarlo alle generazioni future; cio' reso evidente dall'utilizzo delle somme ricavate per «l'esecuzione delle rimessioni in pristino» e per «finalita' di salvaguardia nonche' per interventi di recupero dei valori paesaggistici e di riqualificazione degli immobili e delle aree degradati o interessati dalle rimessioni in pristino» (comma 6, dell'art. 167, decreto legislativo n. 42/2004) e dalla quantificazione della stessa in modo non avulso dalla trasgressione commessa, dal momento che uno dei parametri e' costituito dal danno arrecato; la precedente normativa infatti, contenuta nell'art. 15, legge n. 1497/1939, nel decreto ministeriale 26 settembre 1997, poi trasfuso nell'art. 164, decreto legislativo n. 490/1999, qualificava l'indennita' come risarcitoria, cosi' evidenziandone la funzione di compensazione della collettivita' dell'utilita' perduta nel tempo dell'abuso, valorizzando in modo astratto l'oggetto di tutela, l'interesse paesaggistico, cioe' considerandolo nel suo valore di scambio; in tal senso si puo' interpretare la recente giurisprudenza del Consiglio di Stato che delinea la condanna pecuniaria in esame come «sanzione riparatoria alternativa» al ripristino dello status quo ante, cosi' non applicando la disciplina contenuta nella legge n. 689/1981 e, in particolare, la norma sulla trasmissibilita' agli eredi (Cons. St., VI, 21 dicembre 2020, n. 8171; Id., II, 30 ottobre 2020, n. 6678); il ripristino non deve, infatti, intendersi quale riaffermazione della situazione precedente all'abuso (che l'istituto in esame e' volto proprio a superare) ma sta a indicare la finalita' di risolvere, pro futuro, l'intervenuta turbativa degli interessi, al fine di presidiare questi ultimi (attraverso la debenza di una somma di denaro commisurata alla maggior somma fra il danno prodotto e le connesse conseguenze profittevoli); nondimeno la corresponsione della somma di denaro svolge altresi' una funzione di deterrenza derivante dall'effetto afflittivo, del quale e' indice la terminologia utilizzata dal legislatore, che fa riferimento alla «sanzione», il criterio normativa di quantificazione, basato sul «maggiore importo» tra il danno arrecato e il profitto conseguito, potenzialmente foriero di una condanna per un importo superiore rispetto al pregiudizio economico prodotto, e la stessa dinamica sottesa all'istituto di cui all'art. 167, decreto legislativo n. 42/2004. La tenuta del sistema non puo' infatti essere messa in pericolo da una sopravvenuta compatibilita' ambientale, idonea, in tesi, a far venir meno la precedente trasgressione, pena l'indebolimento del vincolo paesaggistico, la cui violazione potrebbe essere percepita come non decisiva, nella speranza che in futuro venga meno, cosi' eliminando anche le conseguenze della situazione antigiuridica antecedente; la portata afflittiva e' comunque secondaria, considerata l'irrilevanza, ai fini dell'integrazione dei presupposti di applicazione della condanna pecuniaria, dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa (elemento determinante per qualificare una fattispecie come sanzionatoria secondo l'ad. plen. 11 settembre 2020, n. 18) e dal fatto che la condanna pecuniaria non costituisce una conseguenza diretta dell'illecito commesso; essa e' infatti principalmente il portato di un provvedimento favorevole (l'accertamento della compatibilita' ambientale) di cui costituisce il corollario e il contrappeso; la funzione della condanna pecuniaria di cui all'art. 167, comma 5 e', quindi, solo parzialmente riconducibile all'afflizione che connota sia il danno punitivo (SS. UU. 5 luglio 2017, n. 16601 e 6 maggio 2015, n. 9100), sia la sanzione amministrativa (fattispecie che richiedono entrambe una previsione di legge, ai sensi rispettivamente dell'art. 25, comma 2 della Costituzione e dell'art. 23 della Costituzione, nel caso di specie da rinvenirsi nella norma di legge appena citata); nel complesso l'imposizione del pagamento della somma di denaro ha quindi una finalita' compensativa del danno prodotto e solo in parte afflittiva; il relativo procedimento costituisce una manifestazione tipica di potesta' amministrativa, nell'ambito dei quale il cittadino versa in una posizione di interesse legittimo e cianche considerando la sua componente afflittiva (secondaria e servente), e diversamente rispetto all'esercizio del solo potere punitivo da parte dell'amministrazione, nel quale non vi e' ponderazione di interessi (Cass., I, 23 giugno 1987, n. 5489), essendo ricollegato al vincolato accertamento, secondo la procedura di cui alla legge n. 689/1981, del verificarsi concreto della fattispecie legale, cui corrisponde il diritto soggettivo dell'intimato a non subire l'imposizione di prestazioni fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, con conseguente devoluzione delle relative controversie, in assenza di ipotesi di giurisdizione esclusiva, al giudice ordinario (Cons. St., V, 24 gennaio 2019, n. 587); dal punto di vista strutturale il procedimento in esame vede una prima fase deputata a verificare la compatibilita' paesaggistica (e la connessa, e dovuta, condanna al pagamento della somma di denaro) mentre il successivo intervallo temporale, finalizzato a quantificare l'importo, e' meramente servente, essendo necessario per rendere liquido ed esigibile l'importo e quindi effettivo il rimedio (rispetto al precedente abuso) dell'ordine di pagamento; al procedimento si applicano i principi dell'attivita' amministrativa, pur considerandone il (parziale) carattere afflittivo: la legge n. 241 del 1990 offre la regolamentazione di base di qualsiasi procedimento amministrativo che non sia accompagnato da una normativa specifica; la legge n. 689/1981 non puo' essere applicata al di la' della categoria delle sanzioni amministrative pecuniarie (Cons. St., II, 4 giugno 2020, n. 3548), «non puo' che tornare a trovare applicazione quello generale di cui alla legge n. 241/1990» (Cons. St., II, 4 giugno 2020, n. 3548) e, infatti, alle sanzioni pecuniarie sostitutive di una misura ripristinatoria di carattere reale non si applica la legge n. 689/1981 (CGARS, 9 febbraio 2021, n. 95 e Consiglio di Stato, VI, 20 ottobre 2016 n. 4400); la ragione dell'impostazione e' rinvenibile nell'interrelazione reciproca della doppia finalita', che non puo' andare a nocumento dell'interesse pubblico che il provvedimento mira a tutelare dal momento che - come gia' detto - prevalgono le istanze di cura di detto interesse (mentre la potesta' afflittiva e' recessiva) e che in ogni caso entrambe le funzioni assolte di cura del bene paesaggistico leso e di deterrenza, sono comunque destinate da ultimo a tutelare l' interesse della collettivita', alla quale, in ultima istanza, e' comunque preordinata anche la potesta' punitiva dello Stato: «La sanzione in "senso stretto" e' irrogata tramite un procedimento diverso da quello previsto dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, che fa capo alla legge n. 689/1981, e' garantita dai principi di legalita', personalita' e colpevolezza (per quanto mutuati dalla legislazione ordinaria e non dalla Costituzione), e' suscettibile di integrale riesame giudiziale (senza, cioe', alcun limite di "merito" amministrativo), laddove alle sanzioni "altre" si applicano i principi dell'attivita' amministrativa tradizionale (dettate dalla legge generale sul procedimento amministrativo)» (Cons. St., V, 24 gennaio 2019, n. 587). 9. Cio' posto, (con riferimento ai tre «punti di frizione» prima delineati) si osserva che: a) la questione della prescrizione non viene in rilievo nel presente processo, in quanto non sollevata dalla parte originaria ricorrente, (e comunque, sul punto, a soli fini di comprova della coerenza della ricostruzione complessiva patrocinata dal Collegio, si rinvia alla sentenza di questo CGARS n. 95 del 2021, che perviene comunque alla conclusione della prescrizione quinquennale, senza tuttavia fondarla sull'art. 28, legge n. 689/1981); b) parimenti la problematica della intrasmissibilita' della sanzione ad eredi ed aventi causa non viene in rilievo nel presente processo di appello, in quanto non e' stato incidentalmente impugnato dalle parti appellate il capo di sentenza reiettivo della censura di primo grado, e su di esso e' calato il c.d. «giudicato interno» (sul punto, a soli fini di comprova della coerenza della ricostruzione complessiva patrocinata dal Collegio, si fa integrale riferimento ai capi da 18.1 a 18. 3 della sentenza non definitiva parziale ed ordinanza di rimessione in Corte costituzionale n. 532 del 14 giugno 2021 resa nell'ambito del procedimento iscritto al r.g.n. n. 99/2020); c) assume invece rilevanza la tematica concernente l 'irretroattivita' del vincolo paesaggistico imposto sull'area (in ordine alla quale si e' prima chiarito, in punto di fatto, orientamento del Collegio). Il Collegio ritiene, come gia' illustrato sopra, che fino alla legge n. 431/1985 l'area o ve insiste immobile de quo non fosse gravata da alcun vincolo paesaggistico. 10. Il caso in esame e' quindi connotato da un vincolo paesaggistico sopravvenuto rispetto alla realizzazione del manufatto abusivo (ultimata nel 1973/1976, come si evince dalla domanda di sanatoria). 11. Viene quindi in rilievo il tema, comune, come detto, a numerose altre controversie pendenti presso il CGARS, dell'applicazione dell'art. 1 della legge n. 689/1981 e dell'art. 5, comma 3, legge regionale n. 17/1994. 11.1. Come gia' motivato, il Collegio ritiene che l'indennita' di cui all'art. 167, comma 5, decreto legislativo n. 42/2004 abbia una funzione riparatoria, essendo funzionale alla cura dell'interesse paesaggistico, e quindi che alla medesima non si applichi la legge n. 689/1981. Detta qualificazione dell'indennita' in parola impone piuttosto di considerare la normativa vigente al momento della pronuncia dell'amministrazione, in base alla regola generale (non applicabile all'attivita' sanzionatoria in senso stretto) per cui la pubblica amministrazione, sulla quale a norma dell'art. 97 della Costituzione incombe l'obbligo di osservare la legge, deve necessariamente tener conto, nel momento in cui provvede~ della norma vigente e delle qualificazioni giuridiche che essa impone (ad. plen. n. 20/1999). 11.2. Declinando la suddetta norma di azione dell'amministrazione nel settore di interesse l'adunanza plenaria ha affermato che, in base alla disciplina nazionale (art. 32 della legge n. 47/1985, che fa riferimento ai vincoli paesaggistici, e successivi interventi normativi, di cui all'art. 4 del decreto-legge n. 146/1985, all'art. 12 del decreto-legge n. 2/1988, dichiarato costituzionalmente illegittimo da Corte costituzionale 10 marzo 1988, n. 302, all'art. 2, comma 43, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e all'art. 1 legge n. 449/1997) e al diritto vivente formatosi su di essa, la disposizione di portata generale di cui all'art. 32, primo comma, relativa ai vincoli che appongono limiti all'edificazione, non reca alcuna deroga a questi principi, cosicche' essa deve interpretarsi «nel senso che l'obbligo di pronuncia da parte dell'autorita' preposta alla tutela del vincolo sussiste in relazione alla esistenza del vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall'epoca d'introduzione del vincolo. E appare altresi' evidente che tale valutazione corrisponde alla esigenza di vagliare l'attuale compatibilita', con il vincolo, dei manufatti realizzati abusivamente» (ad. plen. n. 20/1999). La giurisprudenza amministrativa successiva ha seguito la suddetta impostazione (Cons. St., VI, 25 marzo 2019, n. 1960; 25 gennaio 2019, n. 627 e 22 febbraio 2018, n. 1121; IV, 14 novembre 2017, n. 5230). E cio' anche in relazione all'indennita' connessa all'accertamento postumo di compatibilita' paesaggistica del manufatto abusivo, comunque dovuta a livello nazionale, indipendentemente dalla qualificazione della medesima come sanzionatoria o risarcitoria. In tale ambito, pertanto, non si e' ritenuto applicabile l'art. 1, legge n. 689/1981, anche (seppur con le contraddittorieta' evidenziate sopra) nei casi in cui l'indennita' di cui all'art. 167, comma 5, decreto legislativo n. 42/2004 e' stata qualificata come sanzionatoria (con conseguente conferma dell'opzione ermeneutica illustrata sopra che supera le contraddittorieta' della piu' risalente impostazione). Il consolidarsi di tale orientamento - che il Collegio condivide - si spiega anche in ragione del portato dell'art. 2, comma 46, legge n. 662 del 1996, che esplicita come, in caso di condono, resti dovuta l'indennita' per danno al paesaggio (di cui infra quanto ai rapporti con la normativa regionale) e la giurisprudenza si e' conformata (Cons. St., VI, 22 luglio 2018, n. 4617; Id., II, 2 ottobre 2019, n. 6605). «Di tale disposizione, entrata in vigore successivamente al provvedimento impugnato in primo grado, la Sezione, conformemente ad un orientamento consolidato di questo Consiglio, ha gia' avuto modo di rilevare "la natura chiaramente interpretativa", in quanto la sanzione paesaggistica va fatta risalire alla disciplina di cui alla legge del 1939 e la sua applicazione retroattiva anche alle domande di condono presentate, ai sensi della legge n. 47/1985 in quanto la formula utilizzata ("qualsiasi intervento realizzato abusivamente") lascia chiaramente intendere che il perimetro applicativo della norma prescinde dall'epoca alla quale risale la presentazione della domanda di condono, venendo invero in considerazione il danno ambientale perpetrato invece che l'assetto procedimentale per il conseguimento della sanatoria urbanistica (...). La natura interpretativa della norma, quale espressione di un principio di autonomia tra sanatoria edilizia e paesaggistica, comporta l'applicazione anche alla sanatoria presentata, ai sensi dell'art. 13 della legge n. 47/1985, nel 1990, trattandosi del medesimo rapporto di autonomia tra procedimento paesaggistico e procedimento edilizio» (Cons. St., II, 30 ottobre 2020, n. 6678). 11.3. In considerazione della disciplina vigente in ambito nazionale, quindi, ad avviso del Collegio: a) non troverebbe applicazione, per le gia' esposte ragioni, l'art. 1 della legge n. 689/1981; b) la controversia andrebbe decisa sulla base della legge vigente al momento della pronuncia dell'amministrazione, con la conseguenza che, in presenza di un vincolo attuale (nel senso appena detto), l'indennita' sarebbe dovuta (e l'appello andrebbe accolto sul punto, con conseguente riforma dell'impugnata decisione ed integrale reiezione del ricorso di primo grado). 11.4. Senonche', pur essendosi esclusa l'applicabilita' dell'art. 1, legge n. 689/1981, ai fini della compiuta disamina della tematica della irretroattivita' occorre adesso confrontarsi con un'ulteriore disposizione normativa di matrice regionale. Nella Regione Siciliana viene, infatti, in evidenza l'art. 5, comma 3, legge regionale n. 17/1994, recante (norma di interpretazione autentica dell'art. 23, comma 10, della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37, che nel testo «sopravvissuto» alla sentenza della Corte costituzionale 8 febbraio 2006, n. 39 (che dichiaro' costituzionalmente illegittimo l'art. 17, comma 11, legge regionale 16 aprile 2003, n. 4) dispone che «il nulla osta dell'autorita' preposta alla gestione del vincolo e' richiesto, ai fini della concessione in sanatoria, anche quando il vincolo sia stato apposto successivamente all'ultimazione dell'opera abusiva. Tuttavia, nel caso di vincolo apposto successivamente, e' esclusa ['irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie, discendenti dalle norme disciplinanti lo stesso, a carico dell'autore dell'abuso edilizio». Viene in particolare in evidenza l'ultimo periodo di detta disposizione, che inibisce l'irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie in caso di vincolo sopravvenuto. 11.5. Il Collegio, prima di affrontare il tema della costituzionalita' di detta disposizione, ritiene utile premettere di ritenere vigente la medesima (sulla scia di CGARS, sezioni riunite, 12 maggio 2021, n. 149; Id., sezioni riunite, 12 maggio 2021, n. 147; Id., e sezioni riunite 10 maggio 2021, n. 354) in una duplice prospettiva. 11.6. Quanto al primo profilo, si rileva che - secondo gli insegnamenti del giudice delle leggi - il fenomeno della reviviscenza di norme abrogate non opera in via generale ed automatica in quanto esso produce come effetto il ritorno in vigore di disposizioni da tempo soppresse, con conseguenze imprevedibili per lo stesso legislatore e per le autorita' chiamate a interpretare e applicare tali nonne, con ricadute negative in termini di certezza del diritto, che esprime un principio essenziale per il sistema delle fonti (Corte costituzionale, 24 gennaio 2012, n. 13) ed alla tenuta del sistema giuridico, in quanto espressione delle esigenze di sicura conoscibilita' delle norme che compongono l'ordinamento. Esso puo' pertanto essere ammesso in ipotesi tipiche e molto limitate. La Corte costituzionale ha ritenuto di poter parlare di reviviscenza nell'ipotesi di annullamento di norma espressamente abrogatrice da parte del giudice costituzionale, che viene individuata come caso a se' (Corte costituzionale 24 gennaio 2012, n. 13). Nel caso di specie l'art. 17, comma 11, legge regionale n. 4 del 2003 («Il parere dell'autorita' preposta alla gestione del vincolo e' richiesto, ai fini della concessione o autorizzazione edilizia in sanatoria, solo nel caso in cui il vincolo sia stato posto antecedentemente alla realizzazione dell'opera abusiva») ha sostituito l'art. 5, comma 3, legge regionale n. 17/1994 («il nulla osta dell'autorita' preposta alla gestione del vincolo e' richiesto, ai fini della concessione in sanatoria, anche quando il vincolo sia stato apposto successivamente all'ultimazione dell'opera abusiva»), offrendo, dell'art. 23, legge regionale n. 35 del 1987, un'interpretazione opposta. Sicche' di fatto ha abrogato l'interpretazione contenuta nell'art. 5, comma 3, legge regionale n. 17/1994 nella sua originaria formulazione. L'inoperativita' della reviviscenza renderebbe priva di effetti la pronuncia di incostituzionalita'. Fra le due interpretazioni possibili (il vincolo sopravvenuto comporta comunque la necessita' di chiedere il nulla osta paesaggistico in caso di abuso, oppure il vincolo paesaggistico sopravvenuto inibisce il potere dell'autorita' paesaggistica), avrebbe continuato ad essere applicata la regola dettata dalla disposizione costituzionalmente illegittima: e' la stessa Corte costituzionale a rendere conto, nella sentenza n. 39 del 2006, della concezione opposta e inconciliabile recata dalla due disposizioni di legge che si sono succedute (in particolare la seconda, quella dichiarata costituzionalmente illegittima, avrebbe un «significato addirittura opposto a quello che in precedenza si era gia' determinato come autentico»). Non potendosi ammettere tale evenienza (cioe' che la disposizione costituzionalmente illegittima continui a produrre effetti) non puo' che ritenersi che, dichiarata costituzionalmente illegittima la sostituzione, riviva la norma che e' stata sostituita, posto che il meccanismo sostitutivo evidenzia come non sia venuta meno l'esigenza di normare la specifica materia. Ne' depone in senso contrario, nel caso di specie, la circostanza che la norma sostituita e quella che la sostituisce costituiscono, entrambe, disposizioni di interpretazione autentica (cosi' la richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 39 del 2006), sicche' la regola ermeneutica successiva (e costituzionalmente illegittima) ha prescelto il parametro legislativo opposto rispetto a quello precedente, ma non ha fatto venir meno l'esigenza interpretativa. Il Collegio ritiene pertanto che sia tuttora in vigore la norma contenuta nell'art. 5, comma 3, legge regionale n. 17/1994 nella formulazione precedente alla sostituzione operata dall'art. 17, comma 3, legge regionale n. 4 del 2003, anche in considerazione del fatto che l'eventuale non conformita' a Costituzione di detta disposizione non si riverbera sul meccanismo della reviviscenza, determinando piuttosto l'illegittimita' costituzionale di esso (se riportato in vita dalla precedente declaratoria di illegittimita' costituzionale). Si aggiunge che nell'occasione di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 30 del 2006 non e' stato valutato l'ultimo periodo dell'art. 5, comma 3, legge regionale n. 17/1994 («nel caso di vincolo apposto successivamente, e' esclusa l'irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie, discendenti dalle norme disciplinanti lo stesso, a carico dell'autore dell'abuso edilizio») nella formulazione precedente alla sostituzione operata dall'art. 17, comma 11, legge regionale n. 4/2003, neppure laddove si afferma (comunque in riferimento a un orientamento giurisprudenziale risalente) che l'interpretazione autentica dell'art. 23, comma 10 della legge regionale n. 37/1985, fornita dallo stesso legislatore regionale con l'art. 5, comma 3, legge regionale n. 17/1994, ha contribuito al consolidarsi a livello regionale di una interpretazione analoga a quella in uso a livello nazionale rispetto all'art. 32 della legge statale n. 47/1985, specie dopo l'intervento dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 22 luglio 1999, n. 20. Sicche' si ritiene di disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte costituzionale proprio in relazione a quella proposizione, anche in ragione di quel principio di certezza del diritto (funzionale a rendere conoscibile la norma a tutti gli operatori del diritto, anche ali, autorita' amministrativa e al privato) cui e' preordinato l'orientamento della Corte sulla reviviscenza. 11.7. In secondo luogo, il Collegio ritiene che l'art. 2, comma 46, legge n. 662/1996 (cui la giurisprudenza ha peraltro attribuito portata interpretativa: cosi' il gia' richiamato arresto, Consiglio di Stato, II, 30 ottobre 2020, n. 6678), che esplicita che in caso di condono edilizio resta dovuta l'indennita' per danno al paesaggio («Per le opere eseguite in aree sottoposte al vincolo di cui alla legge 29 giugno 1939, n. 1497, e al decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431 , il versamento dell'ablazione non esime dall'applicazione dell'indennita' risarcitoria prevista dall'art. 15 della citata legge n. 1497/1939»), non abbia abrogato la disposizione regionale del 1994. Cio' in quanto, in ambito di competenza legislativa esclusiva devoluta ad una regione a statuto speciale (come e' nella specie) ed in presenza di legge regionale, la successiva legge statale (incompatibile) non supporta, fatta salva l'ipotesi del rinvio dinamico, il sistema della successione delle leggi nel tempo nel senso di ritenere implicitamente abrogata la legge precedente il cui contenuto sia incompatibile con il disposto della fonte primaria successiva: osta la competenza legislativa esclusiva della Regione Sicilia (di cui infra) che impone di valutare non solo l'incompatibilita' ma anche la portata della successiva norma statale in termini di norma nazionale di grande riforma, richiedendo la pronuncia sul punto della Corte costituzionale. Mentre l'ordinamento italiano devolve il primo profilo (relativo all'incompatibilita') al giudizio diffuso degli operatori del diritto che si trovino ad applicarla, non avviene cosi' rispetto al secondo profilo di valutazione (appartenenza o meno della norma statale alla categoria delle norme di grande riforma), devoluto, anche in ragione della complessita' che lo connota, alla Corte costituzionale, anche nella prospettiva della certezza del diritto. Del resto «i due istituti giuridici dell'abrogazione e della illegittimita' costituzionale delle leggi non sono identici fra loro, si muovono su piani diversi, con effetti diversi e con competenze diverse. Il campo dell'abrogazione inoltre e' piu' ristretto, in confronto di quello della illegittimita' costituzionale, e i requisiti richiesti perche' si abbia abrogazione per incompatibilita' secondo i principi generali sono assai piu' limitati di quelli che possano consentire la dichiarazione di illegittimita' costituzionale di una legge» (Corte costituzionale 14 giugno 1956, n. 1). Il rapporto fra l'art. 5, comma 3, legge regionale n. 17/1994 e l'art. 2, comma 46, legge n. 662 del 1996, non trovando soluzione nelle regole che governano la successione delle leggi nel tempo, e' quindi ricompreso nella questione di legittimita' costituzionale che si pone alla Corte costituzionale. 12. Ritenuto quanto sopra, il Collegio intende porre la questione di legittimita' costituzionale sull'art. 5, comma 3 della legge regionale n. 17/1994, con specifico riferimento all'ultimo periodo di detta disposizione, che inibisce l'irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie in caso di vincolo sopravvenuto («il nulla osta dell'autorita' preposta alla gestione del vincolo e' richiesto, ai fini della concessione in sanatoria, anche quando il vincolo sia stato apposto successivamente all'ultimazione dell'opera abusiva. Tuttavia, nel caso di vincolo apposto successivamente, e' esclusa l'irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie, discendenti dalle norme disciplinanti lo stesso, a carico dell'autore dell'abuso edilizio»). 12.1. La questione e' rilevante in ragione di quanto a piu' riprese considerato ed in quanto, in costanza della norma regionale suddetta (e pur essendo il Collegio persuaso che non trovi applicazione il disposto di cui all'art. 1, legge n. 689/1981) nel caso di specie dovrebbe confermarsi la pronuncia di primo grado che ha annullato l'ingiunzione di pagamento dell'indennita', atteso che il vincolo paesaggistico e' stato apposto dopo la realizzazione della costruzione abusiva. Laddove, invece, la norma venga meno in seguito a pronuncia di incostituzionalita' (ovvero anche, semplicemente, laddove si ritenesse, difformemente da quanto ipotizzato da questo giudice, che la predetta disposizione non sia piu' in vigore in quanto implicitamente abrogata) il Collegio dovrebbe determinarsi in senso opposto, riformando la sentenza di primo grado. Non puo' poi sottacersi la particolare rilevanza che assume la questione per questo CGARS (oltre che per l'amministrazione siciliana e i cittadini che afferiscono al relativo territorio), atteso che il presente giudizio e' uno dei circa ottanta attualmente pendenti innanzi a questo Consiglio di giustizia amministrativa ed aventi ad oggetto immobili edificati abusivamente nell'area della Valle dei Templi in Agrigento nella medesima area. 13. Sembra evidente che l'art. 5, comma 3, legge regionale n. 17/1994 (nello stabilire che l'art. 23, comma 10, legge regionale n. 37/1985, debba essere interpretato nel senso che «il nullaosta dell'autorita' preposta alla gestione del vincolo e' richiesto, ai fini della concessione in sanatoria, anche quando il vincolo sia stato apposto successivamente all'ultimazione dell'opera abusiva», dispone che «nel caso di vincolo apposto successivamente, e' esclusa l'irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie, discendenti dalle norme disciplinanti lo stesso, a carico dell'autore dell'abuso edilizio») sia volto a impedire che dall'abuso derivino effetti negativi sul proprietario dell'immobile allorquando il vincolo paesaggistico e' successivo alla realizzazione dell'abuso (e sembra altresi' evidente che, in questa chiave di lettura, tale esenzione ricomprenderebbe anche eredi ed aventi causa, che altrimenti ci si troverebbe al cospetto di una illogicita' incomprensibile: l'autore dell'abuso verrebbe «privilegiato» rispetto all'avente causa di questi). La voluntas legis regionale non pare, in tale prospettiva, attribuire un ruolo decisivo all'uso del termine «sanzione», ritenendosi piuttosto che essa voglia impedire l'esborso di denaro, indipendentemente dalla qualificazione di quest'ultimo. Il termine sanzione delinea la conseguenza di carattere patrimoniale derivante dall'aver realizzato un'opera abusiva ed e' coerente con la qualificazione attribuita all'epoca all'indennita' in discorso. In tal senso si ritiene che la possibilita' di esperire un'interpretazione costituzionalmente orientata, che, valorizzando l'utilizzo del termine «sanzione», ritenga non applicabile all'indennita' di cui all'art. 167, comma 5 del decreto legislativo n. 42/2004 la norma regionale contenuta nell'art. 5, comma 3 della legge regionale n. 17/1994, non sia percorribile: osta il principio della certezza del diritto. Il profilo emerge con evidenza se si considera la gia' richiamata circostanza relativa all'attuale pendenza di ottanta giudizi di contenuto analogo presso questo CGARS, cosi' risaltando la rilevanza che assume il connotato della certezza del diritto non solo per l'organo giurisdizionale ma altresi' per l'amministrazione siciliana e gli abitanti del relativo territorio. Invero, a tacere del fatto che, se si interpretasse in tal senso la disposizione regionale, si determinerebbe un'ipotesi di norma inutiliter data, si aggiunge che l'art. 5 l.r., per come e' stato costantemente applicato, intende riferirsi, laddove utilizza il termine «sanzione», proprio all'indennita' per danno al paesaggio. Si ritiene pertanto che la disposizione regionale della cui legittimita' costituzionale si dubita sia riferita all'indennita' di cui all'art. 167 comma 5, decreto legislativo n. 42/2004 (indipendentemente dalla qualificazione di detta indennita' sulla quale ci si e' prima soffermati, laddove si ritiene di avere chiarito le ragioni per le quali il Collegio non la ricompresa nella categoria delle sanzioni amministrative pecuniarie normate dalla legge n. 689/1981). Nondimeno il Collegio, pur ritenendo che detta qualificazione non abbia un rilievo cosi' determinante in punto di valutazione della non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, ancorata alla diversita' di disciplina con la normativa statale in punto di abuso paesaggistico (nei termini illustrati infra), come si dira', non ignora che la qualificazione dell'indennita' in parola in termini di sanzione amministrativa pecuniaria non e' indifferente per il giudice ad quem, come si avra' modo di illustrare nel paragrafo 21. 13.1. Premesso cio', la valutazione della non manifesta infondatezza si articola innanzitutto nel senso che l'art. 5, comma 3, legge regionale n. 17/1994, nella formulazione ritenuta vigente, viola la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi degli articoli 9 e 117 comma 2, lettera s) della Costituzione, in quanto determina una lesione diretta dei beni culturali e paesaggistici tutelati, con la conseguente grave diminuzione del livello di tutela garantito nell'intero territorio nazionale. La predetta norma regionale interseca la disciplina sulla protezione del paesaggio (in quanto provvede a delineare le conseguenze dell'abuso anche paesaggistico), normativa che, a sua volta, rispecchia la natura unitaria del valore primario e assoluto dell'ambiente, di esclusiva spettanza statale ai sensi dell'art 117, comma 2, lettera s) della Costituzione. Cio' in quanto: ai sensi dell'art. 9, comma 2, Cost. la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico della Nazione; l'art. 117, comma 2, lettera s), Cost. attribuisce alla Stato la competenza legislativa esclusiva nella materia della tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali; l'art. 14, comma 1, lettera n), dello Statuto speciale della Regione Sicilia, approvato con r.d.l. 15 maggio 1946, n. 455 e successive modificazioni ed integrazioni, riconosce una potesta' legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio e di conservazione delle antichita' e delle opere artistiche. In merito alla materia del paesaggio si rileva che: l'art. 9 della Costituzione (la Repubblica «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione») ha costituito, in combinato disposto con gli articoli 2 e 32 della Costituzione, l'asse portante per il riconoscimento del diritto primario a godere di un ambientale salubre, e cio' attraverso la lettura effettuata dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 210 e n. 641 del 1987, poi consacrato nel 2001, con la riforma del titolo V della Costituzione, attraverso i rinvii espressi ad ambiente ed ecosistema introdotti dall'art. 117, secondo comma, lettera s); la nozione di paesaggio di cui all'art. 9 della Costituzione ha cosi' assunto una connotazione che partecipa sia dell'esigenza di cura di singoli beni, quindi dei valori storici, culturali ed estetici del territorio, sia quella di non pretermettere l'interesse alla tutela dell'ambiente, sia quell'attenzione alla materia dell'urbanistica (Corte costituzionale 21 aprile 2021, n. 74 e 17 aprile 2015, n. 64); specularmente l'ampia nozione di ambiente, cosi' come e' stata ricostruita specie dopo il 2001, ha una morfologia complessa, capace di ricomprendere non solo la tutela di interessi fisico-naturalistici, ma anche i beni culturali e del paesaggio idonei a contraddistinguere in modo originale, peculiare e irripetibile un certo ambito geografico e territoriale (Corte costituzionale 30 marzo 2018, n. 66, punto 2.2. del Considerato in diritto). Detto cio' in punto di norme costituzionali di interesse nella presente controversia si rileva conseguentemente, in relazione alle soggettivita' coinvolte dalle suddette attribuzioni, che: la tutela del paesaggio non si identifica con una materia m senso stretto, dovendosi piuttosto intendere come un valore costituzionalmente protetto, integrante una materia trasversale (Corte costituzionale 17 aprile 2017, n. 77), sulla quale lo Stato esercita, in ragione della portata ascensionale della sussidiarieta', istanze unitarie che trascendono l'ambito regionale (Corte costituzionale 1° ottobre 2003, n. 303); in molteplici occasioni, codesta Corte ha affermato che la conservazione ambientale e paesaggistica spetta, in base all'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione, alla cura esclusiva dello Stato (Corte costituzionale 23 luglio 2018, n. 172); l'attribuzione allo Stato della competenza esclusiva di tale materia-obiettivo non implica una preclusione assoluta all'intervento regionale, purche' questo sia volto all'implementazione del valore ambientale e all'innalzamento dei suoi livelli di tutela (sentenza 23 luglio 2019, n. 172, punto 6.2. del Considerato in diritto e sentenza n. 178/18, punto 2.1. del Considerato in diritto; nello stesso senso sentenza Corte costituzionale 17 aprile 2017, n. 77, 16 luglio 2014, 24 ottobre 2013, n. 246, 20 giugno 2013, n. 145, 26 febbraio 2010, n. 67, 18 aprile 2008, n. 104 e 14 novembre 2007, n. 378); alle regioni non e' consentito modificare gli istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme, valevole su tutto il territorio nazionale, «senza che ci sia giustificato da piu' stringenti ragioni di tutela» (Corte costituzionale 21 aprile 2021, n. 74); fra gli istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme, valevole su tutto il territorio nazionale, che alle regioni non e' consentito modificare, deve essere annoverata l'autorizzazione paesaggistica (Corte costituzionale 21 aprile 2021, n. 74). Con specifico riferimento alle competenze legislative delle regioni a statuto speciale, la giurisprudenza costituzionale ha sottolineato che il legislatore statale, tramite l'emanazione delle norme di grande riforma economico-sociale, «conserva il potere - anche relativamente al titolo competenziale legislativo "nella materia 'tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali', di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, [...] di vincolare la potesta' legislativa primaria delle regioni a statuto speciale» (sentenza n. 238/2013, punto 2.2. del Considerato in diritto). Specularmente la Regione Siciliana, con specifico riferimento alla competenza legislativa esclusiva attribuitale dallo Statuto speciale in materia di paesaggio e di urbanistica, deve rispettare, oltre che, in generale, i precetti costituzionali, anche le «norme di grande riforma economico-sociale» poste dallo Stato nell'esercizio delle proprie competenze legislative (Corte costituzionale 8 novembre 2017, n. 232, con riferimento alla disciplina dell'accertamento di conformita'). A cio' si aggiunge che la definizione dell'ambiente quale materia trasversale porta con se' consente l'attivazione, da parte dello Stato, istanze unitarie che trascendono l 'ambito regionale in ragione della portata ascensionale della sussidiari eta', (Corte costituzionale 1° ottobre 2003, n. 303). In ragione di quanto sopra si rileva che: la legge n. 431 del 1995 e' stata qualificata in termini di legge di grande riforma (Corte costituzionale 27 giugno 1986, n. 151), cosi' come il decreto legislativo n. 42/2004 (Corte costituzionale 29 ottobre 2009, n. 272): il codice dei beni culturali «detta le coordinate fondamentali della pianificazione paesaggistica affidata congiuntamente allo Stato e alle regioni» (sentenza n. 66/18, punto 2.4. del Considerato in diritto), in coerenza con i principi delineati supra in tema di protezione del paesaggio e di tutela dell'ambiente e della valenza della disciplina statale diretta a proteggere l'ambiente e il paesaggio quale limite alla competenza legislativa in materia anche delle regioni a statuto speciale; tale qualificazione discende dal fatto che il codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo n. 42/2004 impatta in modo diretto sul valore primario e assoluto del paesaggio («il paesaggio va, cioe', rispettato come valore primario, attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralita' degli interventi delle amministrazioni locali» (cosi' la sentenza 5 maggio 2006, n. 182), cosi' come richiamato dall'art. 9 della Costituzione e dall'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione, e ne delinea un nuovo assetto, improntato a integrita' e globalita', implicante una riconsiderazione del territorio nella prospettiva estetica e culturale, intesa in senso dinamico; l'indennita' di cui all'art. 167, comma 5 del decreto legislativo n. 42/2004, sulla quale e' intervenuto l'art. 2, comma 46, legge n. 662 del 1996 nei termini sopra delineati, risulta, - in ragione della funzione riparatoria rispetto all'esternalita' negativa prodotta con l'abuso e in funzione general-preventiva, di dissuasione -, direttamente connessa al valore primario e assoluto che il decreto legislativo n. 42/2004 attribuisce al paesaggio. 14. A fronte di cio': la disciplina sul condono edilizio e' organicamente regolamentata in ambito nazionale prevedendo che l'accertamento postumo (nei termini evidenziati sopra, nei paragrafi 15.3., 15.4. e 15.5.) della compatibilita' paesaggistica sia accompagnato dal pagamento dell'indennita' di cui all'art. 167, comma 5, decreto legislativo n. 42/2004; e' stato gia' illustrato, come il pagamento della somma di denaro connessa all'accertamento della compatibilita' paesaggistica costituisca un tratto fondamentale dell'istituto a livello di disciplina nazionale; come si e' rilevato sopra, l'indennita' connessa all'accertamento postumo di compatibilita' paesaggistica del manufatto abusivo e' dovuta in ambito nazionale, anche se il vincolo paesaggistico e' sopravvenuto rispetto alla realizzazione dell'abuso (e cio' indipendentemente dalla qualificazione della medesima come sanzionatoria o risarcitoria); cio' in ragione, da un lato, della richiamata adunanza plenaria n. 20 del 1999 e, dall'altro lato, dell'art 2, comma 46, legge n. 662 del 1996 (cui la giurisprudenza, come gia' illustrato, ha peraltro attribuito una portata interpretativa), che esplicita come, in caso di condono, resti dovuta l'indennita' per danno al paesaggio; l'art. 5, comma 3, legge regionale n. 17/1994, nel prevedere che la sanzione amministrativa pecuniaria non sia irrogabile nel caso di sopravvenienza del vincolo paesaggistico rispetto alla commissione dell'abuso, si discosta dalla disciplina nazionale sopra illustrata lasciando «scoperto» il periodo precedente nel quale l'abuso e' stato commesso ma l'accertamento di compatibilita' non e' ancora avvenuto; in tal senso viene assicurata sul territorio siciliano una tutela meno elevata del valore ambiente e paesaggio rispetto a quella garantita sul rimanente territorio nazionale; in ambito siciliano, infatti, la conformita' attuale alla disciplina paesaggistica consente di superare il precedente abuso senza ulteriori conseguenze negative, sicche' viene meno il disvalore ambientale e paesaggistico connesso a quest'ultimo, parificando la posizione di chi non ha commesso abuso alla posizione di chi lo ha commesso ma ha ottenuto l'accertamento positivo di conformita' di cui all'art. 167, decreto legislativo n. 42/2004 solo dopo averlo realizzato; cosi' non avviene, come si e' gia' visto, sul rimanente territorio nazionale, dove la tutela del paesaggio e' presidiata a livello generai-preventivo anche attraverso il pagamento di un'indennita' a copertura delle conseguenze pregiudizievoli dell'abuso commesso; tale ultimo aspetto assume una particolare rilevanza nell'ambito dell'istituto di cui all'art. 167, decreto legislativo n. 42/2004 (come sopra gia' illustrato), delineando un procedimento avente due prospettive, quella del superamento di una situazione di non conformita' formale alla disciplina paesaggistica in seguito all'accertamento della compatibilita' sostanziale del manufatto (questo a presidio di un principio di efficienza e di scarsita' delle risorse che accomuna l'intero ordinamento giuridico e non solo la prospettiva pubblicistica) e il contrappeso del pagamento di un'indennita' in funzione generai-preventiva a presidio del rispetto ex ante delle regole poste a tutela del paesaggio attraverso il pagamento dell'indennita' (che' altrimenti viene meno la cogenza delle medesime, con conseguente intaccamento del valore fondamentale dell'ambiente e del paesaggio); si e' illustrato sopra come il procedimento e la posizione dell'amministrazione sul punto si giustifichi e trovi le ragioni del proprio canone di azione solo nel bilanciamento fra i due aspetti sopra delineati e come non possa esservi l'uno, senza l'altro. L'art. 5, comma 3, ultimo periodo legge regionale n. 17/1994, nella formulazione che si ritiene attualmente vigente (come sopra illustrato), laddove non consente l'irrogazione dell'indennita' di cui all'art. 167, comma 5, decreto legislativo n. 42/2004 in caso di sopravvenienza del vincolo paesaggistico, contrasta, eccedendo dalle competenze attribuite alla Regione Siciliana dall'art. 14, lettera n) dello Statuto in materia di tutela del paesaggio e di conservazione delle antichita' e delle opere artistiche, con le norme di grande riforma economico-sociale contenute nell'art. 167 del decreto legislativo n. 42/2004, con conseguente violazione degli articoli 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost. Cio' in quanto comporta una significativa alterazione del meccanismo delineato dal legislatore statale per la tutela dei beni culturali e paesaggistici, cosi' come interpretato, da un lato, dalla richiamata adunanza plenaria n. 20 del 1999 e, dall'altro lato, dall'art. 2, comma 46, legge n. 662 del 1996 (cui la giurisprudenza, come gia' illustrato, ha peraltro attribuito una portata interpretativa), che esplicita come, in caso di condono, resti dovuta l'indennita' per danno al paesaggio anche in caso di vincolo sopravvenuto: non e' consentito alla Regione Siciliana adottare una disciplina difforme da quella contenuta dalla normativa nazionale di riferimento che assicura il pagamento dell'indennita' di cui all'art. 167, decreto legislativo n. 42/2004. 14.1. Il Collegio solleva altresi' questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 3, ultimo periodo, legge regionale n. 17/1994, nella ridetta formulazione che si ritiene attualmente vigente, laddove non consente l'irrogazione dell'indennita' di cui all' art. 167, comma 5, decreto legislativo n. 42/2004 in caso di sopravvenienza del vincolo paesaggistico, in relazione ai parametri di cui agli articoli 3 e 97 della Costituzione. Cio', in quanto la norma censurata consente di eliminare qualsiasi conseguenza pecuniaria negativa in caso di accertamento postumo della compatibilita' paesaggistica. Altrettanto non avviene invece sul restante territorio nazionale, pur a fronte della medesima situazione di fatto e di un livello di tutela del paesaggio che non puo' essere difforme (almeno verso il basso, essendo, come gia' visto, consentito alle regioni unicamente di innalzare lo standard di tutela). Nel meccanismo disegnato dalla norma regionale della cui costituzionalita' il Collegio dubita, la regolarizzazione del fatto lesivo per il paesaggio (certamente sussistente al momento della delibazione dell'amministrazione sulla domanda di condono) avviene senza alcuna conseguenza pregiudizi evo le per il suo autore. Dal che la considerazione che la disciplina qui censurata possa indebolire l'efficacia deterrente del sistema delineato dall'art. 167 del decreto legislativo n. 42/2004, cosi' come interpretato dall'adunanza plenaria n. 20 del 1999 e dall'art. 2, comma 46 della legge n. 662 del 1996, con conseguente incentivazione a tenere il comportamento, confidando nella possibilita' di un adempimento successivo, in grado di superare l'illecito paesaggistico commesso: cosi' vanificando l'efficacia deterrente dell'istituto, con conseguente irragionevolezza intrinseca della disciplina e connesso pregiudizio al buon andamento della pubblica amministrazione. Ne' giustifica la diversita' di trattamento del danno al paesaggio sul territorio siciliano la prospettiva di un rapporto tra pubblica amministrazione e consociati imperniato su uno schema dialogico-collaborativo anziche' oppositivo, che si tradurrebbe nell'imposizione di un obbligo di «avvertire» il privato circa la necessita' di conformarsi al precetto, che imporrebbe la previa imposizione del vincolo paesaggistico sull'area oggetto di abuso rispetto alla realizzazione di questo. L'argomentazione infatti non spiega la diversita' della disciplina siciliana, in quanto un'argomentazione analoga potrebbe articolarsi anche in relazione al rimanente territorio nazionale. A cio' si aggiunge, in senso inverso, che il valore del paesaggio giustifica piuttosto, per i motivi sopra esposti, l'impostazione opposta. Non sfugge, tra l'altro, che in riferimento all'ambito del diritto penale la possibilita' di riservare maggiore spazio a meccanismi di riduzione o addirittura di esclusione della pena, a fronte di condotte riparatorie delle conseguenze del reato da parte del suo autore, e' stata esplorata recentemente anche dal legislatore statale con l'introduzione del nuovo art. 162-ter del codice penale ad opera legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario), che prevede per l'appunto l'estinzione dei delitti procedibili a querela soggetta a remissione - senza alcuna residua sanzione per il trasgressore - quando, anche in assenza di remissione della querela da parte della persona offesa, questi abbia riparato interamente il danno cagionato dal reato ed eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose di esso entro l'apertura del dibattimento di primo grado. Nondimeno nel caso di specie il meccanismo introdotto dal legislatore regionale con l'art. 5, comma 3 della legge regionale n. 171/1994 non assicura la riparazione del danno in quanto la regolarizzazione della posizione del soggetto istante ai sensi dell'art. 167, comma 5 del decreto legislativo n. 42/2004 avviene prescindendo dalla valutazione del pregiudizio arrecato al bene ambiente, che, anzi, tale omissione costituisce l'effetto precipuo della norma regionale sospettata di illegittimita' costituzionale. E cio' e' ancora piu' rilevante in quanto l'interesse pubblico al paesaggio presenta le caratteristiche dell'interesse almeno m parte adespota, potenzialmente incidente sulle generazioni future, e le cui violazioni determinano esternalita' negative difficilmente apprezzabili (di talche' anche la particolare modalita' di quantificazione dell'indennita' di cui all'art. 167, comma 5). Non puo' quindi ritenersi, in uno con la Corte costituzionale, che ha ritenuto che l'introduzione del nuovo art. 162-ter del codice penale corrisponda a legittime opzioni di politica criminale o di politica sanzionatoria (18 gennaio 2021, n. 5), che la scelta operata dal legislatore regionale con l'art. 5, comma 3, legge regionale n. 17/1994 non trasmodi nella manifesta irragionevolezza o non si traduca in un evidente pregiudizio al principio del buon andamento dell'amministrazione L'art. 5, comma 3 della legge regionale n. 17/1994, eccedendo dalle competenze statutarie della Regione autonoma della Sicilia di cui all'art. 14, comma 1, lettera n) e quindi essendo privo di giustificazione, viola quindi anche gli articoli 3 e 97 della Costituzione. 15. Da ultimo, per completezza espositiva, sara' consentita una considerazione. Si e' gia' chiarito che l'indennita' di cui all'art. 167, comma 5, decreto legislativo n. 42/2004 non riveste, per il Collegio, i connotati della sanzione amministrativa in ragione delle considerazioni sopra illustrate. Nondimeno, se anche si ritenesse di attribuire detta qualificazione all'indennita' in parola, questo CGARS ritiene che la norma censurata non si presti a una interpretazione adeguatrice, che ne determini la sussumibilita' nell'ambito della categoria delle sanzioni amministrative sostanzialmente penali. Detta indennita' infatti si situa nell'ambito di una fattispecie (quella di cui all'art. 167, comma 5, decreto legislativo n. 42/2004) favorevole per il privato istante in quanto consente il superamento di un precedente illecito. Sicche' l'analisi concreta delle finalita' perseguite (gia' sopra illustrata ai paragrafi 15.3., 15.4. e 15.5.) rende recessiva, sulla base dei parametri Engel, la finalita' punitiva rispetto a quella preventiva, nel senso che l'indennita' costituisce una misura a tutela del paesaggio, che consente di superare l'illecito commesso, alla quale risultano estranei gli aspetti meramente afflittivi della pena (potendosi al piu' rinvenire delle secondarie finalita' di deterrenza). La tecnica di quantificazione, peraltro, basata sul binomio danno arrecato-profitto conseguito, osta a ritenere particolarmente elevato il grado di afflittivita' in quanto la misura del dovuto non trova giustificazione nella necessita' di assicurare l'effetto punitivo ma nel tentativo di rimediare a un danno arrecato. Nella determinazione dell'indennita' non si ha infatti riguardo all'elemento soggettivo del fatto, ne' all'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione e neppure alla personalita' dello stesso e alle sue condizioni economiche, parametri che il legislatore ha individuato al fine di assicurare la finalita' punitiva (art. 11 della legge n. 689/1981). Detto cio' in punto di non annoverabilita' dell'indennita' controversa nell'ambito delle sanzioni amministrative sostanzialmente penali, questo CGARS ritiene che la riconducibilita' della stessa nella categoria delle sanzioni amministrative (sussumibilita' comunque avversata da questo CGARS, come sopra illustrato) non consentirebbe comunque di superare le questioni di legittimita' costituzionale in ragione dei principi della conoscibilita' del precetto e la prevedibilita' delle conseguenze sanzionatorie (Corte costituzionale 29 maggio 2019, n. 134). In altre parole, questo CGARS ritiene che non possa essere utilizzato, in funzione paralizzante rispetto alla questione di legittimita' costituzionale della norma censurata, il rilievo che essa (laddove non consente di irrogare la «sanzione» nel caso di sopravvenienza del vincolo paesaggistico) sarebbe giustificata dalla necessita' di allineare la fattispecie alla regola generale di conoscibilita' del precetto la cui violazione determina la conseguenza sanzionatoria. Piuttosto, l'ordinamento suppone (e impone) che colui che realizza un illecito edilizio si assuma la responsabilita' delle conseguenze negative che dalla condotta derivano nel corso del tempo, fino a che la posizione del medesimo non risulta nuovamente conforme all'ordinamento giuridico (secondo il canone del versari in re illicita): il precetto da conoscere anticipatamente non e' rappresentato dal singolo vincolo paesaggistico ma dal fatto che la realizzazione del manufatto deve avvenire nel rispetto delle regole di settore, pena, quanto meno, il pagamento di un'indennita'. Il settore non risulta esposto ne' al rischio che, in contrasto con il principio della divisione dei poteri, l'autorita' amministrativa o il giudice assuma[ no] un ruolo creativo, individuando, in luogo del legislatore, i confini tra il lecito e l 'illecito, ne' al rischio di violare la libera autodeterminazione individuale, dal momento che consente al destinatario della norma di apprezzare le conseguenze giuridiche della propria condotta (cosi' non realizzandosi le situazioni che rappresentano la ratio dei principi della conoscibilita' del precetto e della prevedibilita' delle conseguenze sanzionatorie, cosi' (Corte costituzionale, 29 maggio 2019, n. 134). La disposizione di portata generale di cui all'art. 32, legge n. 47/1985 rende infatti rilevanti i vincoli di tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, di tutela del patrimonio storico artistico e di tutela della salute che appongono limiti all'edificazione ai fini dell'accertamento di conformita' in sanatoria: e' la legge che impone quindi una corrispondenza stretta fra il vincolo edilizio e i suddetti vincoli, ritenendoli connessi quanto agli interessi pubblici coinvolti e inestricabilmente compromessi dalla concreta realizzazione illecita del manufatto. L'adunanza plenaria ha ritenuto che detta disposizione non rechi alcuna deroga al principio di legalita' in quanto «e' la legge che attribuisce la funzione e ne definisce le modalita' di esercizio, anche attraverso la definizione dei limiti entro i quali possono ricevere attenzione gli altri interessi, pubblici e privati, con i quali l'esercizio della funzione interferisce» e che «la pubblica amministrazione, sulla quale a norma dell'art. 97 della Costituzione incombe piu' pressante l'obbligo di osservare la legge, deve necessariamente tener conto, nel momento in cui provvede, della norma vigente e delle qualificazioni giuridiche che essa impone» (n. 20 del 1999). Sicche', una volta che la cura dell'interesse paesaggistico, in uno con la cura degli altri interessi coinvolti nell'operazione, sia cosi' realizzata dall'amministrazione preposta, questa e' tenuta a valutare anche i vincoli sopravvenuti rispetto alla costruzione, fino al momento della propria decisione. Senonche' tale incombenza (di considerare anche i vincoli sopravvenuti) non trova ragion d'essere in un comportamento della parte pubblica, essendo piuttosto ascrivibile al fatto che in precedenza il privato abbia agito in assenza di titolo, non consentendo cosi' la verifica di quanto edificato. Pertanto, se sanzione vi e', essa svolge la funzione di punire il trasgressore non, in via diretta, per avere violato il vincolo paesaggistico, ma per non essersi premunito del titolo edificatorio, esponendolo alle conseguenze negative che nel corso del tempo quella condotta produce, fino al momento in cui il privato non ritiene di porre fine alle conseguenze antigiuridiche della stessa, presentando la domanda di cui all'art. 167, decreto legislativo n. 42/2004 e l'amministrazione si pronunci sulla stessa. Non si pone quindi un tema di conoscibilita' del precetto, potendosi al piu' porre una questione di prevedibilita' delle conseguenze sanzionatorie, che questo CGARS ritiene superabile in ragione del fatto che gli interessi coinvolti, oltre a quello strettamente edificatorio, sono indicati nell'art. 32 e cosi' sono prevedibili le conseguenze che derivano dalla violazione di detti interessi: l'unico elemento di aleatorieta' attiene alla mancanza di sicurezza in ordine al fatto che l'area interessata dall'illecito sia nel corso del tempo sottoposta (o meno) a vincolo. Detta aleatorieta', peraltro, e' contenuta dalla predeterminazione della tipologia di vincoli e di conseguenze che ne derivano, da un lato, e, dall'altro lato, dal fatto che dipende proprio dal soggetto punito» la possibilita' di ridurre, se non azzerare, detta aleatorieta' presentando l'istanza di compatibilita' (paesaggistica, per quanto interessa nella presente controversia). 16. Detto cio' in funzione delle questioni di legittimita' sollevate, proprio per quanto si e' in ultimo esposto nel precedente paragrafo questo CGARS non ritiene di porre ulteriori questioni in relazione specificamente all'eventuale qualificazione (avversata dal Collegio, come sopra illustrato) dell'indennita' di cui all'art. 167, comma 5, decreto legislativo n. 42/2004 in termini di sanzione amministrativa dal momento che la giurisprudenza costituzionale ritiene che «la competenza sanzionatoria amministrativa non e' in grado di autonomizzarsi come materia a se', ma accede alle materie sostanziali» (Corte costituzionale 7 giugno 2018, n. 121), cosi' assorbendosi nelle questioni di costituzionalita' gia' poste, dovendosi rilevare che le denunciate problematiche in punto di depotenziamento della tutela del paesaggio manterrebbero in simile ipotesi inalterata consistenza (cfr. Corte costituzionale, 17 novembre 2020, n. 240, seppur con riferimento a regione a Statuto ordinario). 17. Tanto premesso, richiamando quanto sopra osservato in punto di rilevanza della medesima e riassunto al paragrafo 18 (in costanza della norma regionale suddetta nel caso di specie dovrebbe confermarsi la pronuncia di primo grado che ha annullato l'ingiunzione di pagamento dell'indennita', atteso che il vincolo paesaggistico e' stato apposto dopo la realizzazione della costruzione abusiva, mentre, laddove, invece, la norma venga meno in seguito a pronuncia di incostituzionalita' il Collegio dovrebbe determinarsi in senso opposto, riformando la sentenza di primo grado), in punto di non manifesta in fondatezza (in ragione della nozione di norma di grande riforma economico sociale, che la Regione Siciliana e' tenuta a rispettare pur essendo titolare di una competenza legislativa esclusiva in materia di paesaggio, e della irragionevole disparita' di trattamento), ed in punto di impossibilita' di interpretazione adeguatrice della norma, il CGARS solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 3, legge regionale n. 17/1994, per contrasto con gli articoli 9 e 117, comma 2, lettera s), 3 e 97 della Costituzione ai sensi dell'art. 23, comma 21, 11 marzo 1953, n. 87, ritenendola rilevante. Il processo deve, pertanto, essere sospeso ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 79 e 80 c.p.a. e 295 c.p.c., con trasmissione immediata degli atti alla Corte costituzionale. Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese e' riservata alla decisione definitiva.